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Avevo pronto un post. Questa mattina mi alzo e leggo ciò che è successo a Boston e il #futurosemplice non può fare finta di nulla. Le immagini parlano da sole, ma come sempre cercherò di proporvi un’analisi che parte da un punto di vista comunicativo.

Comunicare con la violenza: brutto da dire? Tremendo da leggere? Irremidiabilmente reale e, purtroppo, non è così inusuale. Comunicare nella sua sintesi estrema è trasmettere un messaggio da un emittente a un ricevente attraverso un mezzo. “Cosa” comunicare e come comunicarlo lo sceglie l’emittente, la persona che emette questo messaggio così come il contenuto, il valore, lo stile, la forma e, purtroppo, anche il destinatario. Fare scoppiare una, due, mille bombe al termine di una maratona pone l’accento su molteplici sfumature: il destinatario non se l’aspetta, il luogo pare assolutamente decontestualizzato col mezzo scelto (una bomba scoppia in guerra, non durante un evento di festa).

Un messaggio si può subire ma, assolutamente, NON condividere!

Se mi fermo a riflettere trovo invece in questa azione un’assurda, ma lucida coerenza comunicativa: il messaggio è il terrore. Quale situazione migliore per questi folli? Una maratona, simbolo di perseveranza, di fatica, di festa, unione nella sofferenza. La bomba non scoppia all’inizio, ma alla fine… quando credi di avercela fatta, quando senti di essere arrivato e vigliaccamente contro persone inermi. È un paradosso, che sottolinea ancora di più l’assurdità e rende ancora più forte questo messaggio. Potrei continuare,  cercando col mio piccolo spazio di dire alle persone che hanno combinato tutto questo che l’aver inviato un messaggio forte e chiaro, non significa che il destinatario lo condivida. Al contrario, succede come nella dimostrazione per assurdo (reductio ad absurdum): la comunicazione posta in questi termini è perdente perché è palese a tutti che l’ipotesi iniziale è giunta a una conclusione assurda dimostrando che l’assunto originale è errato.

Esco dalla fase “maestrina” per concludere con una riflessione che parte da una domanda che nasce vera e risuona nella testa di tutti… Perché? Perché avete combinato tutto questo? Perché togliere la vita ad altre persone? Perché scegliere un linguaggio e una comunicazione di desolazione, morte e non di gioia e vita? Qui mi fermo, perché le mie piccole capacità arrivano ad analizzare ciò che è misurabile e razionale. A dettar legge in atti terroristici di questa dimensione è invece un mix pericoloso fatto di follia, delirio, violenza e irrazionalità davanti al quale, impietriti, possiamo solo provare sentimenti di orrore, pietà, condivisione e, se credenti, pregare.

Oggi il #futurosemplice sembra concretamente più lontano ma, è proprio ricordando giornate come queste che io trovo ancora di più la forza per crederci. È il mio modo per dire NO.
Rosa

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