Riflettevo in questi giorni nuovamente sul concetto di personal branding e su come poter raccontarlo in modo semplice, chiaro efficace e non in modo retorico nel mio prossimo workshop.
Da manuale, è risaputo che personal branding è una definizione coniata per la prima volta da Tom Peters nel lontano 1999 in un libro intitolato The Brand Called You, letteralmente “La marca chiamata te”. Da allora, queste due parole associate e il loro significato intrinseco è rimbalzato in migliaia di post, libri, white paper, strategie e piani di comunicazione o marketing.
Partendo da Giovanni Rana fino ad arrivare a Chiara Ferragni (tanto per citare nomi che tutti conosciamo), ogni singolo professionista che è stato in grado di sfruttare la comunicazione in modo intelligente per sviluppare un’identità chiara, conquistando in modo trasparente la fiducia del suo pubblico di riferimento, è riuscito a trasformare le proprie azioni in un brand, o meglio nel proprio brand personale.
Un approccio al personal branding differente
Spesso per raccontare cos’è il personal branding si analizzano le costruzioni, le dinamiche comunicative, le azioni che hanno permesso a queste persone (diventate poi per certi versi personaggi, ambasciatori del proprio prodotto/servizio) di diventare un riferimento del proprio settore.
Partiamo invece ora da un punto di vista differente: dalla fine.
Perché una persona arriva a così tanto successo e un’altra no?
Chiediti questo: se dovessi prendere ad esempio tua nonna e le dovessi parlare proprio di Chiara Ferragni, che ovviamente non conosce, cosa e come racconteresti chi è o cosa fa? O ancora: perché anche tu, che magari non ti occupi di moda, sai chi è Chiara Ferragni?
E ancora: Chiara Ferragni, cosa penserebbe delle cose che racconti di lei a tua nonna?
No, non sono ironica, credimi! Io credo che il nocciolo della questione stia proprio qui!
Il personal branding è il racconto di te… mentre tu non ci sei
Personal Branding, di fatto, è quindi quello che la gente dice di te o al posto tuo, quando tu non ci sei.
La gente racconta ciò che sei tu e può farlo, ha tutto il diritto di farlo perché ti ha percepito, ha raccolto ‘informazioni’ su di te grazie a ciò che tu stesso hai condiviso, hai comunicato. Se questa comunicazione ha contenuti e valore, la gente ti restituirà credibilità che tu potrai spendere a piene mani.
(ATTENZIONE: ho detto ‘contenuti e valore’... non dimenticare che il web nel tempo rivela ciò che sei e la credibilità è un concetto davvero concreto… se sei un fuffaro, se non hai contenuti da spendere… credimi, lascia perdere, meglio).
La percezione che tu hai dato loro è frutto della tua reputazione, risultato di ogni singola azione o comportamento che tu hai avuto nel passato (nel web o fuori dal web). Personal branding è quindi ciò che si dice di te in tua assenza… e chi non vorrebbe che la propria (bella e buona) reputazione non arrivi prima di lui?
Una buona reputazione è la porta del successo e la percezione è il tappeto rosso per raggiungerlo
La chiave di volta del personal branding è quindi la percezione. Percepire è un’azione innata legata ai sensi, a tutti i sensi. Da una foto posso percepire l’emozione che sta provando una persona, dal testo percepisco il suo tone of voice (tono di voce… sì come se stesse parlando). La posizione del corpo comunica e fa percepire lo stato d’animo di una persona: pensa a un qualsiasi dittatore che ricordi, non te lo immagini forse dritto in piedi con le mani appoggiate sui fianchi e il petto in fuori? Se dovessi metterti tu in quella stessa posizione, la percezione che avrebbero le persone che ti guardano sarebbe la medesima!
La percezione è potere e il potere ti trasforma in leader (ed è una grande responsabilità)
Saper lavorare con maestria sulla percezione che si da di se agli altri è davvero strategico.
La percezione è, di fatto potere, un potere che inconsciamente ti viene riconosciuto.
Ma se la percezione è potere, il potere ti trasforma in leader.
Essere leader, avere questo riconoscimento dalle persone che ti seguono, è una grande responsabilità: loro ti riconoscono tale perché ti danno fiducia, riconoscono in te valori, azioni, comportamenti a loro affini. La percezione crea aspettative: ricorda che parliamo di relazioni, di persone e se queste vengono disattese, le conseguenze sono assolutamente dannose.
Certo, alla fine, essere riconosciuto come leader ti permetterà di attivare le azioni trasformandole in vero e proprio business, ma non dimenticare mai che questo ti sarà stato permesso grazie a un tacito accordo sottoscritto tra te e le persone che hanno deciso di seguirti verso le quali tu, come in quanto leader, hai una responsabilità.
Chiamalo personal branding, chiamalo percezione, chiamalo come credi, ma di queste dinamiche è necessario esserne assolutamente consapevoli: solo così potrai sviluppare la comunicazione strategica del tuo business o, al contrario, comprendere quanto il potere comunicativo di una persona sia nelle mani di chi lo segue. Infine, forse comincerai a giudicare Chiara Ferragni non come ‘una che si fa i selfie’, ma come una grande imprenditrice che ha saputo sfruttare a pieno la percezione trasformandola in un grande potere di business (valutato ultimamente circa 10 milioni di dollari).
(…poi, per intenderci, la Ferragni può starti o meno simpatica, ma questa è un’altra storia…)
ph. cover: thanks Shutterstock
2 Febbraio, 2018
[…] mai davvero pensato a quanto la tua identità digitale può influire sulle scelte altrui e sulla percezione che dai alle altre […]
12 Giugno, 2018
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4 Luglio, 2018
[…] davvero fondamentale che definirei altamente sensibile. Ti ho già parlato di quanto la percezione per il tuo personal branding è ‘potere’, di quanto ogni azione che compi aiuta a definire la tua identità digitale. Spesso infatti ci si […]
10 Aprile, 2019
Il personal branding o creare un brand attorno ad una attività è un lavoro che necessita di tempo ma che ripaga in fiducia e autorevolezza ricevuta.
Ottimo articolo.
9 Luglio, 2019
ciao Simone, grazie