La scorsa settimana ho partecipato a un evento a Milano organizzato da Adecco in cui sono stati presentati i risultati di una ricerca commissionata a Community Media Research dal titolo ‘Gli italiani e il lavoro a tempo indeterminato, tra miti desideri’. Da ex-dipendente, passata a essere imprenditrice, poi ancora dipendente e infine nuovamente consulente (scarica QUI le prime pagine del mio libro in cui ti racconto la mia storia), il tema dell’assunzione che si incrocia con la possibilità di crescita personale, sviluppo delle proprie competenze, meritocrazia, è un tema che da sempre mi tocca e coinvolge, proprio perchè fino ad oggi ho potuto vivere i diversi aspetti e diversi ruoli.
5000 assunzioni a tempo indeterminato: un traguardo che però va attentamente analizzato
Adecco, ha voluto questa ricerca dopo aver constatato i risultati del suo lavoro: nel 2015 sono in fatti stati assunti dall’azienda che si definisce ‘il primo datore di lavoro in Italia’, 5000 lavoratori a tempo indeterminato su circa 160 mila rapporti attivi. Numeri in crescita ovviamente grazie anche agli effetti della jobs act, la famosa riforma del lavoro che ha permesso alle imprese italiane di ricevere dal 2015 incentivi o agevolazioni fiscali in caso di assunzioni. La ricerca di Adecco ha in effetti messo in luce alcuni aspetti interessanti, a volte inaspettati della situazione italiana frutto di un cambiamento culturale che sta avvenendo (speriamo) anche da noi anche, a mio avviso, ancora molto deve avvenire.
Se da una parte ci sono situazioni che faticano a cambiare, come la differenza tra nord e sud per numero di assunzioni (solo il nord ovest col nord est coprono quasi il 70% contro il 7,8% del sud) o ancora la fascia d’età coinvolta nelle assunzioni (gli ultra cinquantenni rappresentano solo il 2% circa), dall’altra dati come questo esposto in infografica pare proprio interessante: abbiamo un’Italia tendenzialmente spaccata tra il centro sud con un 42% che percepisce il tempo indeterminato come tutela e prospettiva, e il nord con un 19% in cui la percezione è di costrizione e mancanza di libertà.
Altro elemento su cui soffermarsi (e che personalmente credo sia una percezione distorta della realtà in entrambi i casi) è la percezione che ‘valorizzare le proprie capacità’ sia più possibile con un lavoro in proprio, mentre la ‘crescita professionale’ solo con un lavoro da dipendente. Mi chiedo perché?
Continuando l’analisi di alcuni dati (la ricerca completa è comunque disponibile sul sito Adecco) ho trovato interessante anche la risposta data a questa domanda sul ‘futuro immaginato’ e il fatto che la risposta tra donne e uomini sia focalizzata su priorità differenti. Se una donna sogna di avere un lavoro come dipendente senza prospettive di soddisfazione personale, e non percepisce come primari obiettivi come ‘guadagnare di più’ o ‘avere più tempo libero’ non credo sia frutto di scelta libera, ma di una consapevolezza che nasce dal fatto che ancora oggi su questo tema, c’è ancora molto da lavorare.
Infine una riflessione va fatta sulla percezione dello smartworking: se in alcuni casi il lavoro flessibile non è possibile, è però triste leggere che è percepito purtroppo solo come ‘lavoro da casa’ e non come concreta possibilità per sviluppare una nuova cultura del lavoro.
Cosa manca alle nostre PMI allora per fare il salto?
‘Veramente pensate che in Italia abbiamo una vision da qui a 10 anni sulle politiche del lavoro e dello sviluppo professionale nelle PMI’? Questa è la domanda che attraverso twitter ho posto alla platea e agli intervenuti tra cui c’era Andrea Malacrida, Amministratore Delegato del gruppo Adecco.
Prendendo spunto infatti dalle riflessioni scaturite da questi risultati, dalla mia esperienza e pensando ai miei ‘sciur Bianchi’ titolari d’imprese percepisco che sicuramente questi risultati sono grandiosi, per carità, ma sarebbe un grande errore pensare che la situazione italiana sia rosea e definitivamente sistemata.
Quale allora la visione corretta per il futuro del lavoro?
Non credo più si debba parlare di ‘crisi’, ma di un’evoluzione che costantemente sta modificando il modo di approcciare il lavoro degli italiani. Non saranno necessarie solo politiche orientate ai dipendenti, ma anche allo sviluppo delle aziende se vogliamo che i 5000 addetti assunti nel 2015 da Adecco possano continuare ad avere un lavoro.
Saranno necessarie politiche e investimenti che mirano all’innovazione, alla formazione e per quanto riguarda il personale doti di flessibilità, adattamento e attenzione alla meritocrazia perché il giusto mix che ci porterà verso il futuro arriverà proprio da qui: è arrivata l’era del lavoro libero, responsabile e consapevole.
Cosa significa? Che è vero che oggi il concetto di tempo indeterminato è cambiato perché non è più una certezza, ma questo ha permesso di aprire la strada a una nuova cultura: non più sedentaria e passiva, ma di merito. Dipendenti o non, donne o uomini, non dovrebbero essere queste le discriminanti, ma il proprio lavoro dovrebbe essere frutto di scelte libere che permettano in entrambi i casi (dipendente o no) di portare ricchezza all’impresa e al paese, sviluppare le proprie capacità, svolgere un’attività che piace, avere tempo libero di qualità, guadagnare il giusto, sentirsi ripagati e soddisfatti perché il proprio impegno ha dato frutti che sono stati riconosciuti in modo meritocratico.
…ottimo punto d’inizio quindi quello di Adecco e ora avanti, che di strada ne abbiamo ancora da fare!
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